Ferruccio Ferroni: poeta della luce

Il MLAC espone dal 13/03/2019 al 04/04/2019 la mostra Fotografie di Ferruccio Ferroni, curata da Alessia Venditti.

Per comprendere meglio l’opera di questo fotografo, nato a Mercatello sul Metauro nel 1920 e scomparso a Senigallia nel 2007, abbiamo chiesto alla curatrice e ai suoi collaboratori, Marcello Sparaventi e il Prof. Claudio Cesarini, di parlarci della sua poetica.

Alessia Venditti:
Ferroni fotografa gli oggetti che incontrano la luce, che dialogano con essa.
La poetica di Ferroni, figlia di una visione personale e dell’incontro con Giuseppe Cavalli, si sostanzia nella scelta espressiva dei grigi. La scala di grigi, i passaggi graduali dal bianco al nero narrano delle mille sfumature della sua visione.
Queste immagini si lasciano leggere: sono debitrici di esperienze forti e trasmettono vibrazioni forti. La potenza dello sguardo di chi le ha prodotte sta nell’ipnotizzare lo spettatore, nel renderlo partecipe di racconti che si dispiegano tanto nei ritratti quanto nella materia, nei paesaggi e nelle nature morte.

Marcello Sparaventi:
Ritengo che la materia sia la sintesi della poetica di Ferroni, per questo la serie che più mi attrae è quella degli “astratti”.
Gli “astratti” sono materie che non hanno nessun riferimento alla realtà, ma in esse si percepisce un rigore, un sentimento poetico e un desiderio di portare alla luce delle riflessioni interiori.
Le fotografie che partono da Architettura della materia del 1953, fino a quelle realizzate dalla metà degli anni Ottanta in poi – quando ricomincia a frequentare la camera oscura e quindi a scattare in bianco e nero –, sono delle immagini pensate che non hanno nulla a che fare con la realtà, ma con i sentimenti.

Prof. Claudio Cesarini
Io non analizzo più l’arte di Ferroni solo dal punto di vista fotografico, ma nella misura in cui mi fa entrare nel “personaggio Ferroni”.
Ferruccio Ferroni usa il mezzo fotografico per esprimere se stesso: entra in una dimensione esistenziale. Le fotografie diventano presenze attraverso la luce, che trasporta l’immagine verso una dimensione dove il tempo è messo in parentesi. Osservando queste immagini che hanno 70/80 anni scopriamo che non hanno il sapore dell’antico. Sembra che siano state scattate oggi.
Ferroni è il poeta della luce.
Le sue immagini non sono solide, non afferma il bianco e il nero come Mario Giacomelli. In Ferroni c’è tutta la complessità dell’immagine e quando scatta, non scatta per ottenere una bella fotografia, ma perché dentro di lui vive un mondo, un momento esistenziale, dei valori. Nelle sue fotografie c’è la ricerca di se stesso e del proprio posto sul pianeta.
Guardiamo il ritratto Silvia: con pochi “tocchi” si scopre la folata di vento che muove i ciuffi di capelli e la luce che si deposita sulle guance, scivola e poi sparisce. Addirittura tutta l’immagine pare che si muova e voglia uscire dal cono ottico per spostarsi in una dimensione diversa.
Tutti gli elementi dei suoi scatti vengono uniti dall’emozione e dalla luce, che determina tutto, che costruisce tutto.
La sua fotografia è un modo di vedere la vita attraverso l’ottica dell’immagine, in uno specifico momento, che è irripetibile. Tutte le sue fotografie hanno questa magia: fissano qualcosa che non si ripeterà mai.
Generalmente i fotografi scattano per fissare quell’attimo ma non riesce a tutti, perché bisogna essere poeti.

LA MOSTRA
Intervista alla curatrice, Alessia Venditti

Come hai pensato la mostra?
La mostra era nella mia testa fin da quando ho cominciato a lavorare nell’archivio di famiglia. Vederla oggi al MLAC è la concretizzazione di un’idea, la traduzione in una bella forma fisica di un pensiero.
Le immagini dell’avvocato marchigiano sono talmente pulite, eleganti, oneste, da avere la forza bruta della schiettezza. Nessun orpello e nessuna finzione: Ferroni è quello che vediamo, un po’ cavalliano all’inizio, successivamente un po’ montiano, ma sempre irresistibilmente riconoscibile. La tecnica e l’attenzione che aveva per lo strumento e la materia trattata sono sempre state sue fedeli compagne di avventura.
Continuo a indagare la bellezza di questi scatti sempre attuali e l’unicità della metodologia archivistica del loro autore, per far conoscere a un pubblico più ampio possibile la sorprendente traccia che lasciano, una volta scoperte.

Qual è il tuo lavoro sull’artista e come ci sei arrivata?
È stato l’argomento della mia tesi di laurea magistrale, ma ancor prima, oggetto di studio per un’altra mostra monografica, da me co-curata in Puglia nel 2014. All’epoca, l’intento fu quello di portare le opere di Ferroni nella terra del suo maestro. Giuseppe Cavalli, infatti, era nato a Lucera, in provincia di Foggia, nel 1904 e si era poi trasferito con la famiglia a Senigallia nel 1939, dove avrebbe poi conosciuto Ferroni nel ’48.

Il MLAC è soltanto una tappa nel tuo progetto per la conoscenza di Ferroni?
Una tappa importante direi! È la prima mostra su di lui che curo personalmente, con l’aiuto prezioso di Marcello Sparaventi e della famiglia Ferroni, ma che spero diventi il tassello di un mosaico ancora tutto da costruire.