La mostra di Mauro Folci comprende Effetto Kanban, un lavoro che si sviluppa tra il museo e il
piazzale antistante, e Kadavergehorsam, un’installazione ambientale realizzata negli spazi della
città universitaria.
Effetto Kanban prevede l’assunzione di un operaio con contratto interinale di quattro ore
giornaliere per la durata dell’intera mostra, a cui viene affidata la mansione di trasportare da una
parte all’altra del piazzale antistante al museo, con un carrello sollevatore, una serie di casse da
imballaggio. Un circuito di telecamere a circuito chiuso riprende il lavoro dell’operaio, che viene
trasmesso da un monitor all’interno del museo.
La performance si inserisce nel lavoro di Folci dedicato alla fabbrica FIAT di Melfi. Il kanban,
letteralmente il «cartellino», è il principio chiave del toyotismo, adottato dallo stabilimento per
realizzare una produzione flessibile. Nella pratica si traduce nella scheda che il cliente compila dal
concessionario con tutte le opzioni per la sua auto e che successivamente, entrando in fabbrica,
stabilisce il piano di produzione. Questo dispositivo, concepito per il contenimento delle
conflittualità in fabbrica, è riproposto nella performance Effetto kanban, in cui il lavoratore non sa
bene se il tiranno è l’autore dell’azione artistica che per 500 euro lo costringe a un lavoro inutile e
alienante, o l’agenzia interinale che lo ha segnalato per quella mansione. L’artista indaga così il
vuoto di significato alla base dell’esperienza sociale del precariato, generatrice di condizioni di
oppressione e sfruttamento.
La seconda parte della mostra prevede l’affissione di cinque grandi striscioni all’interno della città
universitaria, recanti la scritta Kadavergehorsam, e la distribuzione di volantini con la medesima
frase e un testo di accompagnamento. Tuttavia, il giorno precedente l’inaugurazione, viene
emesso dalla Segreteria del Rettorato un ordine di requisizione degli striscioni già allestiti, che
rende impossibile lo svolgimento della seconda metà della mostra.
Il titolo Kadavergehorsam, in italiano “obbedienza cadaverica”, fa riferimento al vocabolo
utilizzato dal generale nazista Eichmann nel processo che lo vede condannato per i suoi crimini di
guerra. Questa “cieca obbedienza”, in cui Hannah Arendt riconosce “la banalità del male”, è
trasportata dall’artista su un piano economico. Folci lo spiega nel volantino di accompagnamento
dell’installazione, in cui afferma che in un mondo plasmato dalla ragione produttiva e dalle leggi
del mercato, l’individuo è ridotto a mero soggetto economico.