Intervista ad Alexandra Valenti

Se per Jannis Kounellis gli orci allineati sul pavimento del Museo Pecci di Prato evocavano un’antropologia delle origini, cosa rappresentano per te i sacchi destinati a contenere le tue precedenti sculture, egualmente squadernati di fronte al visitatore? Evochi un’esperienza conclusa o intendi ripartire da essa?

C’è un aspetto ambiguo nel mio lavoro, da un lato mi sento legata al passato, considerandolo presenza attiva, dall’altro sento l’esigenza di andare avanti e rinnovare linguaggio ed esperienza. Al momento sono più interessata a dipingere che a scolpire, so che la possibilità di adottare diversi strumenti mi dà la libertà di plasmare la mia realtà, di coglierne le mozioni profonde. Nelle ultime due opere realizzate per l’attuale mostra ,“La stanza” e “La casa vola”, permangono le ombre a testimoniare un passato che esiste ma non pesa, si libra in aria, accende la fantasia, denota la volontà di rivolgersi ad altro, per trarne nuova linfa e riprendere coraggiosamente il cammino.

La passione per il gesto, nettamente individuabile in alcune tue opere recenti, appare come manifestazione di energia vitale, opzione creativa che sembra nascere da una precisa attitudine della tua natura e della tua personalità

Ritengo preziosa una mia istintività, credo in una comunicazione diretta fra la mano e la profondità del sentire, cerco di captare l’energia che mi anima, vengo da una lunga preparazione di studio, di ascolto, di affinamento. Amo un linguaggio sintetico, capace di colpire con rapidità e forza. Nella grande tempera proposta in mostra i carboncini di William Kentridge sono stati esempio di metodologia di lavoro, vista la capacità dell’artista di creare una progressione di immagini utilizzando lo stesso disegno, facendo risultare vivo e sommatorio un unico foglio.

Ami adottare materiali che sottolineino l’importanza di un’operazione manuale, ne sono esempio i sacchi, in gran parte eseguiti direttamente da te, scegliendo soluzioni atte a mostrare insieme contenitori reali e forme simboliche.

Ogni volta scelgo i materiali in base a quello che mi propongo di dire, non solo i sacchi, ma i supporti ai lavori su carta mi obbligano a sperimentare le soluzioni più adatte a dar loro la consistenza necessaria. Amo mani che lavorano, l’artista ha il privilegio di possedere mani capaci di cogliere la difficile essenza dell’arte. Mi sono formata negli Stati Uniti, in una scuola satellite del Bauhaus, impostata su un preciso rapporto fra arte e mestiere, dove l’artista è innanzi tutto un artigiano. Un rapporto che sento ancora oggi strettissimo, che non offre possibilità di deleghe.

Un accenno a un tuo prossimo lavoro mi ha ricordato l’opera di un artista che proponeva, nella recente Biennale veneziana, monumentali colonne costituite da blocchi di sale, regolarmente sezionati e modulati. Ho supposto che tale scelta includesse un interesse per una possibile deperibilità del materiale usato.

Ti ho parlato di un futuro progetto nel quale ritornerò alla scultura, usando forme classiche realizzate in un materiale casalingo e deperibile. Sono interessata alla deperibilità, alla possibilità di sottolineare nel mio lavoro un rapporto con il tempo e la caducità.