Homolù Dance | Intervista a Julie Pezzali

Julie Pezzali ha curato con Antonella Sbrilli la mostra Homolù Dance. Opere di Franco Cenci, ospitata al MLAC dal 28 novembre 2019 al 15 gennaio 2020. In questa intervista ha parlato del suo rapporto con l’artista Franco Cenci e di questa sua prima esperienza da curatrice.

Hai conosciuto Franco Cenci nel 2018 qui alla Sapienza e sei rimasta talmente tanto affascinata dal suo lavoro che sei andata a trovarlo nel suo studio per conoscerlo meglio. C’è stato un motivo in particolare che ti ha spinta ad entrare nel suo mondo di giochi e simboli?
Lui ha la capacità di mescolare diverse tecniche come la scultura, pittura, collage e fotografia con un risultato sorprendente, riuscendo a rappresentare all’interno di micromondi temi come l’infanzia, il calcio, il gioco e la vita degli artisti, mantendendo alla base una chiave di lettura simbolica e ironica. Personalmente mi ha aiutata a recuperare un nuovo sguardo nei confronti del mondo dell’infanzia che durante la mia vita da adulta avevo dimenticato.

E’ la prima volta che curi una mostra insieme alla docente Antonella Sbrilli. Le tue esperienze passate sono state utili ad acquisire una certa pratica nel gestire i rapporti tra le opere e lo spazio in cui devono essere installate. Quali sono state le difficoltà che hai riscontrato durante quest’ultimo allestimento e come le hai affrontate?
Nel corso degli anni Franco Cenci, lavorando su molti temi, ha creato opere diverse tra loro, perciò la difficoltà era cercare di metterle in comunicazione. Si tratta di una mostra monografica e antologica, quindi abbiamo pensato di creare, sulla base di sette parole chiave, gruppi contenenti opere con un principio comune e ogni gruppo in contatto con l’altro. E’ importante conoscere molto bene il linguaggio dell’artista, ma nello stesso momento mantere lo sguardo dello spettatore e non è facile perchè il curatore è un mediatore tra l’artista e lo spettatore. Devo dire che sono molto soddisfatta del risultato, è tutto come lo avevo immaginato!

C’è stata la presenza di una persona in particolare che ti ha stimolato?
Si, la docente Antonella Sbrilli, ideatrice e curatrice della mostra. Ricordo che il primo corso di magistrale aveva come tema i micromondi nell’arte, mentre il secondo l’arte e il gioco. Senza le sue lezioni probabilmente sarebbe stato tutto molto diverso. La sua capacità di trovare legami tra le diverse materie, che la porta ad approfondire l’arte al di là dei confini del mondo accademico, è stata di spunto per il mio percorso e per il lavoro da curatrice.

Tuo nonno è un pittore e la tua famiglia ti ha cresciuta nel mondo dell’arte. Loro sono la radice della tua passione per l’arte. Che altro ti hanno regalato?
La possibilità di osservare da molto vicino il percorso di un artista e la mia esperienza familiare mi hanno aiutato a comprendere che dietro a una mostra a volte si può nascondere un sentimento di sofferenza da parte dell’artista, chiamato a mostrare le parte più intima e profonda di se stesso a un pubblico spesso sconosciuto. Presentare in una mostra il proprio percorso, spesso anche molto intimo, è un atto di coraggio e di conoscenza continua del proprio sé e delle proprie passioni.