Sergio Lombardo. Sperimentazioni Stocastiche | Intervista a Simone Zacchini

Psicologo e artista, nato a Roma nel 1939, Sergio Lombardo può essere considerato tra i principali innovatori del linguaggio artistico internazionale. È stato uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “Scuola di Piazza del Popolo”. Ha rappresentato l’Italia alla VI Biennale di Parigi del 1969 e nel 1970 ha ottenuto una sala personale nel Padiglione Italiano della Biennale di Venezia. Nel 1977 ha fondato il Centro Studi Jartrakor da cui è nata nel 1979 la Rivista di Psicologia dell’Arte che continua ad essere pubblicata tutt’oggi.
Da vero sperimentatore, ha cambiato spesso l’oggetto delle sue ricerche estetiche, passando dalla pittura alla scultura, dall’arte concettuale alla performance. In questa “programmatica discontinuità” si possono distinguere diversi cicli di opere: Monocromi (1958-1961); Gesti Tipici (1961-1963); Uomini Politici Colorati (1963-1964); Supercomponibili (1965-1968); Sfere con sirena (1968-1969); Progetti di Morte per Avvelenamento (1970-1971); Concerti di Arte Aleatoria (1971-1975); Specchio Tachistoscopico con Stimolazione a Sognare (1979); Pittura e Pavimenti Stocastici (dal 1980 ad oggi); Mappe (1996-2003).

Così Simone Zacchini, curatore della mostra Sperimentazioni Stocastiche (1995-2020) attualmente ospitata al MLAC, ci presenta l’intensa attività di ricerca portata avanti da Sergio Lombardo.

Una definizione di “stocastico” per i non addetti ai lavori?
L’aggettivo “stocastico” deriva dal calcolo delle probabilità dove, come sinonimo di casuale, caratterizza gli enti matematici collegati a eventi aleatori. Più in generale, gli strumenti, le teorie e i modelli stocastici sono atti a descrivere e studiare situazioni che variano in base a leggi probabilistiche, e non deterministiche. Nell’ambito delle arti, il termine è stato adottato, a partire dagli anni Cinquanta (si veda, per esempio, la “Teoria della Musica Stocastica” pubblicata nel 1956 da Iannis Xenakis), per riferirsi all’implicazione di elementi di casualità o di procedimenti aleatori nel momento della realizzazione o della fruizione delle opere. Lombardo ha applicato alla pittura questi modelli matematici che modulano il caso, attraverso una lunga ricerca costituita da diverse fasi sperimentali.

Incuriosisce molto questo aspetto scientifico. Vuoi raccontarci quando nasce questo interesse nella ricerca di Lombardo?
Alcuni aspetti caratteristici della ricerca estetico-scientifica di Lombardo sono già chiaramente rintracciabili fin dai suoi primi Monocromi, altri sono sorti successivamente, come è avvenuto per la Pittura Stocastica, che nacque all’inizio degli anni Ottanta in un ambito di sperimentazione che prima di essere estetico era matematico.
L’importanza di Lombardo come teorico è indubbia, poiché egli ha sempre accompagnato la produzione delle opere ad articoli scientifici che ne spiegassero gli obiettivi e i metodi di realizzazione. Quando nel 1987, con un articolo pubblicato sulla Rivista di Psicologia dell’Arte, decise di mettere nero su bianco la sua “Teoria eventualista” non lo fece certo da zero: già aveva alle spalle trent’anni di ricerche guidate da questi principi. E nel delinearli non limitò la sua ricerca successiva, continuando a cercare quello sguardo attivo dello spettatore che è proprio dell’opera d’arte intesa come evento.

Il titolo della mostra è Sperimentazioni stocastiche (1995-2020). Puoi fornirci una panoramica delle tipologie di sperimentazioni affrontate da Lombardo in questi anni, che possa aiutare a una lettura completa delle opere esposte?
La scelta di partire dal 1995 non è casuale: la mostra vuole porsi in continuità con l’antologica su Lombardo che era stata curata proprio al MLAC da Miriam Mirolla nel 1995. Questa esposizione si concludeva con i Pavimenti Stocastici su cui Lombardo stava lavorando in quei primi anni Novanta, e da questi progetti ho voluto far ripartire la mostra attuale.
Dopo questa data il lavoro di Lombardo ha subito una svolta, con l’approfondimento del tema della composizione e colorazione di diversi tipi di “Mappe” (Mappe Minimali Toroidali, Mappe di Heawood e Mappe Stocastiche Complesse). La prima metà della mostra analizza questo tipo di sperimentazioni, mentre la seconda parte è dedicata alle cosiddette “Tassellature Stocastiche” (Tiling e Quilting): superfici costituite da tessere nate da nuovi algoritmi stocastici di generazione delle forme, sviluppati da quei metodi di composizione che Lombardo aveva già presentato all’inizio degli anni Novanta. 
Ho deciso di affiancare alle diverse tipologie di opere su tela anche un’efficace selezione di progetti su carta che mettesse ancora più in luce l’aspetto sperimentale che sottende a tutto il lavoro di Lombardo.

Vuoi darci qualche indicazione sulla tecnica con cui Lombardo dipinge le sue tele e sui principi che segue nella scelta dei colori.
Nei lavori prodotti da Lombardo tra il 1965 e il 1979 l’intervento del pubblico era pensato come un’attività fisicamente evidente, mentre nella Pittura Stocastica si attua attraverso i meccanismi cognitivi della sola percezione visiva. Questa scelta influenza chiaramente anche la tecnica realizzativa, in cui l’utilizzo della pittura vinilica in una stesura piatta svolge un ruolo fondamentale nel risultato visivo finale e nell’analisi della capacità psico-attiva delle forme dipinte.
Per la scelta dei colori, e per comprendere come cambia la loro applicazione all’interno dei diversi metodi stocastici, rimando ai numerosi articoli che Lombardo ha pubblicato in questi decenni che possono spiegare, molto meglio di quello che posso fare io, le sue precise scelte al riguardo. Per esempio, si veda: S. Lombardo “Alcune procedure di arte automatica. Nonsense shapes, Pioggia di Punti, Metodo LAB, Mappe Minimali e di Heawood”, in Rivista di Psicologia dell’Arte, Nuova Serie, Anno XXIV, n. 14, Edizioni Jartrakor, Roma, 2003, pp. 61-71.

Durante l’allestimento hai sottolineato come, dopo la fase delle Mappe, il ritorno alle realizzazioni stocastiche sia uno snodo centrale del percorso espositivo da te proposto. Puoi spiegarci perché?
Questo è un punto fondamentale che la mostra vuole sottolineare. Spesso si è vista la ricerca sulle Mappe come una parentesi che non avesse connessioni con il resto della produzione stocastica. Invece è proprio lo studio condotto sulle Mappe che ha portato Lombardo a indagare nuovi metodi di realizzazione stocastica di ben altra complessità rispetto ai precedenti, aprendo a ulteriori approfondimenti quegli stessi progetti su cui aveva già lavorato agli inizi degli anni Novanta.

In questo periodo storico, in cui il mondo sembra correre una gara con sé stesso, Sergio Lombardo invita il pubblico a fermarsi davanti all’opera. Anzi, chiede di starci il più a lungo possibile. Questo approccio, secondo te, è un invito a una riflessione sull’aspetto sociale/umano dell’arte?
Credo che la riflessione che Lombardo vuole indurre nello spettatore, rispetto alla fruizione dell’opera d’arte, implichi ogni tipo di aspetto, non solo alcuni di essi. È un programma di rifondazione estetica probabilmente utopico, ma questo suo essere impostato su parametri scientifici lo rende estremamente affascinante nella sua complessità.

Cosa significa per te confrontarti quotidianamente con un artista che ha attraversato da protagonista le vicende dell’arte italiana dal secondo dopoguerra a oggi?
Sergio è un vero profluvio di stimoli. Quello che mi ha sempre attratto della sua personalità artistica è il suo sguardo proiettato al futuro e la sua voglia di continuare a sperimentare. Già all’inizio degli anni Sessanta era riconosciuto come uno dei protagonisti dell’arte italiana; nonostante ciò ha scelto di non farsi vincolare da quegli stilemi estetici che avrebbe potuto facilmente continuare a ripetere, cercando invece di andare sempre oltre, assumendosi tutti i rischi e le difficoltà che questa infaticabile ricerca comporta.

Concluderei con le parole dell’artista che mi sembra sintetizzino parte del lavoro visitabile al MLAC: “Lo scopo dell’arte automatica che soddisfa la Teoria eventualista, non è quello di trovare un metodo automatico per fare ciò che i pittori già fanno, o possono fare artigianalmente. Non è la creazione di un programma per poter eseguire al calcolatore ciò che prima si eseguiva con il pennello, ma quello di inventare una procedura che crei delle forme inimmaginabili intuitivamente”. Cosa senti di voler aggiungere a commento di questa affermazione?
Non c’è molto altro da aggiungere. Invito gli spettatori della mostra a giudicare da sé la capacità “eventualista” della produzione pittorica stocastica che dalla metà degli anni Novanta ha portato Lombardo a confrontarsi con sempre nuovi problemi estetici di composizione, combinazione e colorazione delle forme.