Viaggio verso la Sapienza. Intervista a Sélène de Condat

VIAGGIO VERSO LA SAPIENZA – SÉLÈNE DE CONDAT

Intervista a Sélène de Condat

 

Il 28 settembre ha aperto al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea la mostra Viaggio verso la Sapienza in cui la fotografa francese Sélène de Condat ha esposto le fotografie realizzate in collaborazione con il progetto Mentorship promosso dalla Sapienza Università di Roma. Il progetto ha diversi obiettivi, tra cui la valorizzazione della ricerca in materia di inclusione degli studenti stranieri nel sistema di istruzione italiano, la creazione di uno spazio accademico coeso e il rafforzamento dell’integrazione socio-culturale degli stranieri in modo tale da modificare la narrativa sulle migrazioni e combattere i pregiudizi. La mostra, curata da Silvia Cappelletti, si presenta come un percorso che si avvale della mitologia classica, cita le parole di Platone e il viaggio degli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro come metafora della conoscenza. La centralità dell’essere umano è uno dei tratti caratteristici della fotografia di de Condat, che in questa intervista ha approfondito alcune tematiche centrali della mostra. Dopo aver dedicato due mostre ai fognaioli parigini, nel 2013 e 2015, ne realizza una sugli spazzini della capitale francese presso l’Hôtel de Ville nel 2016. Tra i suoi ultimi lavori si ricordano, in particolare, un reportage monografico sull’imbalsamatore Michel Guenanten e l’Hôpital des poupées (2022), narrazione fotografica del lavoro di Federico Squatriti, restauratore di bambole antiche a Roma. Caratteristico dei suoi scatti, l’uso del bianco e nero, che, anche nella mostra Viaggio verso la Sapienza, predomina le sale. Attraverso questa intervista è possibile entrare ancora di più nella sua idea di fotografia e in ciò che l’ha avvicinata al progetto, riflettendo sulla percezione dell’attimo e sulla sua storia personale.

 

 

Che cos’è per te la fotografia e cosa vuoi rappresentare attraverso essa?

 

SdC: L’essere Umano è per sua natura fotografo. Lo vediamo nei disegni realizzati dall’uomo di Lascaux, oppure nei trompe-l’œil di Pompei o nelle opere di Van Gogh, per esempio i lavoratori o i mangiatori di patate. Lo vediamo anche nei bambini quando con un tratto più o meno incerto provano a disegnare i genitori oppure i nonni.

È come se, in modo conscio o inconscio, l’umanità avesse necessità di immortalare l’esistenza.

 

A cosa è legata la scelta del bianco e nero nelle tue fotografie? Nella mostra “viaggio verso La Sapienza” possiamo ammirare lacune fotografie a colori, cosa ti ha portato ad intraprendere questa scelta?

 

SdC: Io penso che il bianco e nero dia una profondità ed un’austerità che il colore non riesce a dare in alcuni casi. In questo progetto, uno dei pochi scatti che ho realizzato a colori è quello sull’intelligenza artificiale, che sarà la grande sfida dell’umanità qualunque sia la nostra storia od origine.

 

 

 

Qual è il tuo rapporto con il frammento (esistenziale, temporale, spaziale)? La frammentazione artistica comprende anche il mondo della danza e del teatro? In che modo queste discipline hanno influenzato/ispirano il tuo lavoro?

 

SdC: Grazie a mia madre, io e i miei fratelli abbiamo avuto la fortuna di crescere circondati da artisti come Salvatore Fiume, Renato Guttuso, Patrick Ysebaert, Letizia Battaglia, Franco Zecchin e molti altri. L’ambiente famigliare ha fortemente inciso nel mio percorso. Poi l’incontro con Maurice Béjart, Janine Charrat e Jean Babile’ – ultimi eredi dei balletti russi – ha reso la mia visione della vita ancora più teatrale. Tutte queste esperienze vengano riversate nelle mie fotografie.

 

Il tuo lavoro è stato anche descritto come “opera aperta”, usando un’espressione di Umberto Eco. Cosa ne pensi?            

                                                                                                                                 

SdC: L’arte è sempre un’Opera aperta perché non ha confini.

 

Come ti sei avvicinata al progetto “Viaggio verso La Sapienza”?

 

SdC: Quando mi sono avvicinata a questo viaggio ho pensato al testo di Natalia Ginzburg sulle Scarpe rotte perché, sebbene molti giovani non hanno la fortuna di essere sostenuti economicamente in questo percorso dalla famiglia, ce la possono fare anche con pochi mezzi economici, rappresentati appunto dalle “Scarpe rotte”.

 

Nei tuoi progetti artistici spesso ti concentri sulla figura dell’uomo e del suo rapporto con la società; in questo caso come hai voluto affrontare l’argomento?

 

SdC: Seguendo la corrente umanista della fotografia francese che ha sempre affrontato le tappe dell’esistenzialismo, l’uomo è rimasto al centro di tutto il mio lavoro, anche in questo progetto.

 

A chi è rivolta questa mostra?

 

SdC: Questa mostra è rivolta a tutti, ma spero specialmente ai più giovani che devono decidere di intraprendere questo viaggio verso la conoscenza…

 

Sei un’artista di origine francese ma hai trascorso la tua infanzia tra la Francia e l’Italia,

formandoti nei luoghi dell’arte e della cultura europee per eccellenza. In questo progetto

invece hai spostato la tua attenzione verso altri luoghi e altri protagonisti. Come hai

vissuto questo rapporto?

 

SdC: Io sono cresciuta tra due paesi liberi e sono consapevole dell’immensa fortuna che ciò è

stato per me. So anche che non tutti hanno tale privilegio e penso che l’unico modo di

affrontare una qualunque tematica che abbia al centro l’individuo, sia quella di preservare il

massimo rispetto per la realtà dell’altro. Quello che tutti gli esseri umani dovrebbero tenere

a mente, secondo me, è che ognuno di noi potrebbe perdere la libertà in qualunque momento.

 

Parlando dei ragazzi fotografati: hai avuto modo di ascoltare le loro storie? Quale

eredità hanno lasciato? E in che modo la mitologia classica diventa uno strumento di

inclusività nel tuo progetto?

 

SdC: Il viaggio all’interno dell’essere umano è altro da me e la mitologia antica è universale dunque

appartiene a tutti.